I sintomi del bambino come spia di un disagio familiare

Sono molti i genitori che, preoccupati, si rivolgono ad uno psicologo/psicoterapeuta affinché intervenga sui sintomi del proprio bambino. Spesso parlano di figli diagnosticati come iperattivi, oppositivo – provocatori, depressi, ansiosi, con deficit dell’attenzione ecc.. che manifestano il loro disagio prevalentemente nell’ambito scolastico. Lo psicoterapeuta che riceve una richiesta di aiuto di questo genere sa che, il più delle volte, il sintomo psicologico/comportamentale del bambino è espressione di un disagio di tipo familiare che si manifesta nel figlio “designato” come un campanello di allarme per tutto il sistema familiare. Questo vuol dire che, nell’ambito del ciclo vitale di una famiglia, posso emergere vecchi nodi non risolti o problemi legati ad eventi improvvisi (lutto, infedeltà, separazione…) che segnalano che qualcosa si è rotto nelle relazioni, non funziona più ed ha bisogno di essere rivisto. I disagi dei bambini diventano, dunque, l’espressione di un disagio familiare. Il lavoro del terapista diventa quindi andare alla ricerca di eventi non risolti nella famiglia del paziente designato e che causano sofferenze, non solo al bambino ma, in modo e misura diversa, a tutto il sistema familiare.
Ma come mai spesso, di fronte a dei sintomi espressi dai bambini, si pensa di portare solo il figlio da qualcuno che lo possa “aggiustare”? Come mai un padre o una madre, il più delle volte, considerano un consiglio strano quello di andare tutti dallo psicoterapeuta familiare, come se il problema non fosse loro ma solo del figlio?

L’importanza della psicoterapia familiare

E’ più facile e meno rischioso pensare che, visto che l’insegnante segnala problemi in classe, il problema di un figlio riguardi esclusivamente la scuola. A casa si comporta bene non ci sono problemi. Di certo sarà colpa di qualche maestra o di qualche compagno che lo infastidisce.

Mettersi in discussione come persone e come genitori non è affatto semplice. Considerare i problemi del figlio come solo suoi pone gli adulti al riparo da giudizi e rivisitazioni della loro storia che, spesso, è dolorosa e difficile da percorrere.
Quando questi genitori varcano la soglia dello studio di uno psicoterapeuta iniziano a vedere il problema da altri punti di vista. Imparano a non pensare in modo lineare (causa ed effetto. Per esempio: si comporta male a scuola quindi il problema è a scuola) bensì in modo circolare (io non c’entro in alcun modo con il malessere di questo bambino? Il suo sintomo non è anche l’espressione dei miei comportamenti, delle mie aspettative, del mio ruolo verso di lui?). Ci si inizia a porre domande sui comportamenti di tutti i componenti della famiglia che, essendo il gruppo di appartenenza più importante per tutti noi, inevitabilmente condiziona gli atteggiamenti degli altri membri del sistema. Per fare un buon lavoro terapeutico per qualsiasi persona (bambino o adulto) è necessario conoscere la storia della sua famiglia e del suo contesto sociale di appartenenza.

Il lavoro dello psicoterapeuta familiare diventa quindi quello di andare a esplorare i problemi e le crisi evolutive familiari che hanno sbilanciato il sistema familiare, tanto da portare uno dei suoi membri a richiamare l’attenzione di tutti su ciò che sta accadendo. Tutto questo si manifesta attraverso: malessere, sofferenza, sintomi.
Il sintomo del bambino diventa quindi l’espressione non solo di un malessere individuale ma, in maniera molto più ampia e complessa, anche di un malessere familiare.
E’ così che dietro ad ogni sintomo si nasconde sempre una grande sofferenza, un grande peso, una grande fatica di questi piccoli uomini e di queste piccole donne che si fanno carico delle responsabilità  di noi adulti. Catturano l’attenzione quando mamma e papà sono troppo attenti al fratellino, o sono troppo arrabbiati con i nonni; o quando entrano in gioco partner sostitutivi perché si respira aria di crisi matrimoniale, o meglio quando prendono il posto “vuoto” del genitore assente per consolare quello rimasto solo; quando si litiga verbalmente e fisicamente a casa tanto che poi ci si deve sfogare, magari a scuola, perché altrimenti a casa nessuno ti “vede” o ti ascolta.

Il compito della psicoterapia familiare è quello di riportare sani equilibri. Quelli in cui bisogna aiutare i figli a togliersi di dosso pesi che non gli competono, condividendo il sintomo e ripristinando i piani generazionali dove gli adulti, fanno gli adulti ed i bambini tornano a giocare come qualsiasi bambino dovrebbe fare.

Aiutare un figlio significa farsi carico della sua sofferenza mettendosi in discussione. Sintonizzarsi con la sua sofferenza, stare con lui, affrontare insieme la sua difficoltà significa aiutarlo davvero.

La cosa migliore da fare quando si vuole aiutare il proprio bambino è varcare la soglia dello studio dello psicoterapeuta e chiedere: “Dottore cosa posso fare IO per aiutare mio figlio?”.

A cura della Dr.ssa Laura Tullio