Invecchiamento patologio

Psicologia Geriatrica

  1. LA DEMENZA
  2. LE FORME DI DEMENZA
  3. DEMENZE VASCOLARI
  4. DEMENZE FRONTO-TEMPORALI
  5. DEMENZA  A CORPI DI LEWY
  6. FORMA FOCALE
  7. DEMENZA REVERSIBILE O CURABILE
  8. COME DI GIUNGE ALLA DIAGNOSI DI DEMENZA
  9. LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Tra le patologie tipiche dell’invecchiamento, la principale causa di disabilità progressiva e nella maggior parte dei casi incurabile, nonché di stress nei caregivers, è la demenza, o meglio le varie forme di demenza, tra cui spicca la malattia di Alzheimer.

  1. LA DEMENZA

Con il termine demenza (o deterioramento mentale) si intende una sindrome clinica caratterizzata da un progressivo deficit della memoria e delle altre funzioni cognitive, tra cui il linguaggio, la prassia e la capacità di giudizio. A questi sintomi possono associarsi anche modificazioni del carattere e della personalità.

Le demenze sono quindi sindromi involutive e difettali caratterizzate da perdita di patrimonio intellettivo, cognitivo e affettivo precedentemente acquisito e consolidato (Colombo 2001).

Da un punto di vista classificativo si distinguono tre forme di demenza degenerativa:

  • primaria di tipo Alzheimer
  • primaria di tipo non-Alzheimer
  • secondaria

Per demenza primaria si intende una demenza la cui origine non è conosciuta; si definisce secondaria, invece, quella demenza derivante da causa accertata (tumore, infezione, trauma, ecc…).

Tutti i cambiamenti, che compromettono sempre di più l’autonomia del paziente fino ad interferire sul normale svolgimento delle attività quotidiane di cura personale, sulla attività lavorativa e sulle relazioni interpersonali, devono essere documentati da una storia clinica.
Questa consiste nella raccolta del maggior numero di informazioni riguardanti l’esordio della malattia (quando sono stati notati i primi sintomi e quali sono stati) e l’impatto dei disturbi sulle attività normalmente svolte dal soggetto. La storia clinica è costituita da una anamnesi familiare, fisiologica, patologica remota e patologica prossima.

L’anamnesi familiare consente di rilevare la presenza di congiunti portatori di malattie che possono avere una relazione causale con la AD.

L’anamnesi fisiologica indaga sulle abitudini di vita (fumo, alcol) del malato.

L’anamnesi patologica remota mira a reperire informazioni relative a eventuali malattie contratte in passato (trauma cranico, malattie professionali, ecc…); mentre l’anamnesi patologica prossima è volta all’analisi dei disturbi recenti e mette in luce l’esordio della sindrome clinica.

La prevenzione delle malattie legate all’invecchiamento e in particolare delle demenze, sta diventando una necessità sempre più diffusa, soprattutto se si osservano i dati epidemiologici.

  1. LE FORME DI DEMENZA

La Malattia di Alzheimer rappresenta la metà circa di tutti i casi di demenza ed è seguita, come frequenza, dalla demenza vascolare (VD), che costituisce circa un quinto dei casi.

Un altro quinto dei pazienti affetti da demenza è colpito sia da Malattia di Alzheimer che da VD. I restanti casi presentano delle forme di deterioramento mentale più rare. Nell’ambito delle forme degenerative primarie, la AD rappresenta la forma più frequente in età senile, mentre in età presenile sono più diffuse le demenze fronto-temporali.

Prima di poter definire una diagnosi certa, è necessario individuare a quale categoria appartiene il tipo di demenza sospettata. Le sindromi demenziali, infatti, possono essere collocate in una delle seguenti cinque categorie:

  1. demenze potenzialmente curabili o stabilizzabili;
  2. demenze degenerative: primarie di tipo Alzheimer, primarie di tipo non-Alzheimer e secondarie;
  3. demenze vascolari;
  4. demenze miste, vascolari e degenerative insieme;
  5. demenze dovute ad altre cause.

Classificazione eziologica delle demenze

 

DEMENZE PRIMARIE O DEGENERATIVE

  1. Demenze corticali
  • Demenza di Alzheimer
  • Demenza fronto-temporali e malattia di Pick
  1. Demenze sottocorticali
  • A corpi di Lewy
  • Parkinson-demenza
  • Idrocefalo normoteso
  • Corea di Huntington
  • Paralisi sopranucleare progressiva
  • Degenerazione cortico-basale

 

DEMENZE SECONDARIE

 

  1. Demenze vasculopatiche(MID o demenza multiinfartuale);
  2. Disturbi endocrini metabolici(ipo e ipertiroidismo, ipo e iperparatiroidismo, insuff.renale cronica, ipoglicemia, disidratazione, etc.)
  3. Malattie metaboliche ereditarie
  4. Malattie infettive e infiammatorie del SNC(meningiti, sclerosi multipla, AIDS dementia complex, malattia di Creutzfeld-Jacob, etc.)
  5. Stati carenziali(carenza di tiamina, di vitamina C e folati, malnutrizione generale)
  6. Sostanze tossiche(alcool, metalli pesanti, farmaci, composti organici)
  7. Processi espansivi(neoplasie, ematomi o ascessi cerebrali)
  8. Miscellanea(traumi cranici, sindromi paraneoplastiche, cardiovascolari, respiratorie)

(Adattamento tratto da Manuale di Psicopatologia generale, G.Colombo, Cleup – 2001)

 

  1. Demenza vascolare

A differenza della Malattia di Alzheimer, la demenza vascolare (VD) presenta le seguenti caratteristiche:

  • esordio brusco
  • progressione a scalini
  • deficit “a scacchiera”
  • consapevolezza della malattia (insight) da parte del soggetto, e quindi ansia e depressione
  • conservazione relativa della personalità
  • disturbi della deambulazione

Rispetto a tutte le altre forme di demenza, quella vascolare è la più diffusa dopo la AD. È piuttosto frequente, inoltre, osservare quadri clinici in cui la AD e la VD sono associate (si parla in questo caso di forme miste). Altre associazioni con la AD riguardano il morbo di Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica. Oggi, grazie a tecniche di indagine sofisticate (valutazioni neuropsicologiche, PET, ecc…) siamo in grado di descrivere la maggior parte dei quadri clinici qui elencati e di poter fare riferimento per questo a criteri diagnostici standardizzati (specifici però soltanto di alcuni tipi di demenza).

 

4. Demenze fronto-temporali

Dopo la Malattia di Alzheimer e la demenza vascolare, le demenze degenerative di tipo non-Alzheimer rappresentano circa un terzo di tutte le forme di demenza. Tra queste, quelle più frequenti ad esordio precoce, sono le cosiddette demenze fronto-temporali. Questa patologia corrisponde alla descrizione di vari quadri clinici, tra cui quelli più studiati sono:

La malattia di Pick, la degenerazione fronto-temporale e la degenerazione del lobo frontale associata alla malattia del neurone di moto (sclerosi laterale amiotrofica)

Tutte queste entità istopatologiche hanno in comune il fatto di essere caratterizzate, all’interno del quadro clinico, da significativi cambiamenti del comportamento, della condotta sociale, della personalità e da precoci disturbi del linguaggio.

La malattia di Pick può comparire tra i 40 e gli 80 anni, ma più frequentemente l’esordio è presenile, e con una frequenza leggermente maggiore nel sesso femminile. Da un punto di vista anatomopatologico è presente una discreta atrofia dei lobi frontali e temporali, associata alla presenza, visibile a livello microscopico, di inclusioni intraneuronali dette appunto “corpi di Pick”. In base alla localizzazione della degenerazione neuronale corticale, si possono osservare quadri clinici diversi.

Se l’atrofia è prevalentemente frontale possiamo avere:

  • una sindrome apatica: disinteresse, abulia, mutismo;
  • una sindrome disinibitoria: agitazione psicomotoria, ipersessualità;
  • una sindrome ossessivo-compulsiva: ripetizione di parole e gesti (rituali mentali e motori), ansia generalizzata e angoscia panica.

Se invece l’atrofia è prevalentemente temporale, può comparire una sindrome di Kluver-Bucy, caratterizzata dalla tendenza ad esplorare per via orale oggetti, anche non edibili; dall’irresistibile impulso a prestare attenzione e a reagire ad ogni stimolo visivo; dalla perdita comportamentale delle risposte di aggressività e di paura; da ipersessualità.

I deficit cognitivi, che solitamente compaiono dopo le manifestazioni comportamentali descritte, riguardono soprattutto il dominio della memoria e del linguaggio. Le abilità visuo-spaziali, invece, contrariamente a ciò che accade nella malattia di Alzheimer, possono essere a lungo risparmiate. Ovviamente con il progredire della demenza, il deterioramento cognitivo diventa diffuso.

 

  1. Demenza a corpi di Lewy (dlb)

Per molti anni questo particolare tipo di demenza è stato considerato una forma di malattia di Alzheimer con associati disturbi del comportamento e sindrome parkinsoniana. Addirittura alcuni malati, trattati con farmaci colinergici (ad esempio la tacrina), mostravano significativi miglioramenti sia delle performances cognitive che di quelle comportamentali. Successivamente, studi anatomopatologici eseguiti su serie cliniche hanno però dimostrato che a queste condizioni cliniche corrispondevano lesioni corticali costituite dai cosiddetti corpi di Lewy. Si tratta di inclusioni intracitoplasmatiche eosinofile (corpuscoli che si trovano all’interno del citoplasma della cellula nervosa, rilevabili attraverso una colorazione a base di eosina), descritte per la prima volta nel 1912 da F.H. Lewy (medico anatomopatologo che per primo ha descritto le lesioni cerebrali che si riscontrano sia nel morbo di Parkinson, che nella demenza poi definita a corpi di Lewy), mentre studiava i cervelli di persone affette da Morbo di Parkinson, dove queste inclusioni si riscontrano classicamente. Anche se è possibile trovare queste lesioni nella malattia di Alzheimer, tuttavia in assenza di placche senili e di aggregati neurofibrillari, la sola presenza dei corpi di Lewy identifica una sindrome clinica autonoma rispetto alle altre forme di demenza degenerativa primaria. Le numerose osservazioni cliniche segnalate nel tempo ci consentono di individuare nella demenza a corpi di Lewy la seconda causa di demenza degenerativa primaria nei soggetti anziani, dopo la malattia di Alzheimer. Si tratta, inoltre, di una patologia più frequente negli uomini che nelle donne.
Il quadro clinico è caratterizzato da:

  • insorgenza di un deterioramento cognitivo progressivo fluttuante
  • prevalente deficit dell’attenzione
  • allucinazioni visive complesse e stabili
  • deficit visuo-spaziale
  • sindrome extrapiramidale

Inizialmente il deficit di memoria può essere lieve, ma nel tempo peggiora rapidamente. Alcuni pazienti presentano anche una tipica compromissione delle funzioni frontali e alcuni studi recenti indicano che ciò potrebbe essere collegato ad un’origine vascolare. A questi sintomi clinici possono esserne associati altri, quali:

  • cadute ripetute
  • episodi di transitoria perdita di coscienza o sincopi
  • ideazione delirante
  • ipersensibilità ai farmaci neurolettici (che può provocare l’insorgenza di parkinsonismo, anche in seguito all’assunzione di basse dosi)

Gli stadi di grave compromissione funzionale vengono raggiunti in un periodo variabile da uno a cinque anni.

 

  1. forme focali

Afasia lentamente progressiva (PPA – Primary Progressive Aphasia): i primi sei casi sono stati descritti nel 1982 dal neurologo e neuropsicologo Mesulam, che ha individuato i caratteri necessari per effettuare la diagnosi di PPA. Perché la diagnosi possa essere realizzata è necessario che:

  • i sintomi siano stabili per almeno due anni dall’inizio della malattia
  • che per i primi due anni la sintomatologia comportamentale sia assente
  • che non ci siano segni di demenza generalizzata

La PPA è caratterizzata da un disturbo isolato del linguaggio, con progressiva difficoltà a trovare le parole, aumento della pausa tra una parola e l’altra, balbuzie e infine afasia non fluente. Può esserci aprassia ideomotoria e bucco-facciale. È conservata la capacità di svolgere le attività quotidiane, di comprendere i messaggi e la consapevolezza della malattia.

La demenza semantica è una entità relativamente nuova appartenente al gruppo delle demenze degenerative di tipo non-Alzheimer. L’esordio della malattia è classicamente caratterizzato da un importante deficit del linguaggio, che è fluente ma con parole prive di significato. Sono frequenti le parafasie semantiche, e l’ecolalia con preservazione di abilità sintattiche e fonologiche. È anche presente una compromissione delle abilità di riconoscimento di oggetti o facce. Le altre funzioni cognitive per molto tempo sono conservate. Possono esserci disturbi del comportamento (compulsività, disinteresse, apatia).

 

 

  1. DEMENZE REVERSIBILI O CURABILI

 

Le demenze curabili rappresentano circa il 15% di tutte le demenze e si distinguono a seconda che siano associate a malattie neurologiche (idrocefalo normoteso, ematoma sottodurale cronico, tumori cerebrali operabili, neurosifilide) o sistemiche (malattie deficitarie: carenza di vitamina B12; deficit di acido folico; pellagra; carenza di tiamina; disordini endocrini: ipotiroidismo; ipertiroidismo; ipoparatiroidismo; alterazioni della funzionalità surrenalica e ipofisaria; insulinoma; malattie del collageno/vascolari: lupus eritematoso sistemico; vasculiti; sarcoidosi; infezioni: meningite cronica come Tbc, fungina, parassitaria; ascesso cerebrale; malattia di Whipple; malattia di Lyme; AIDS; demenza alcoolica: demenza alcoolica primaria; miscellanea: malattia respiratoria ostruttiva cronica; deprivazione di sonno; sindrome delle apnee morfeiche; encefalite limbica; radiazioni; ipossia; dialisi.

 

 

  1. COME SI GIUNGE ALLA DIAGNOSI DI DEMENZA

 

Per giungere alla diagnosi di demenza, la prima tappa è identificare se esiste una situazione chiaramente ascrivibile ad un quadro di demenza attraverso l’esecuzione di un’attenta anamnesi, mirata a identificare i tipi di disturbo cognitivo lamentato dal paziente (memoria, linguaggio, prassia, astrazione, ecc…) e se questi sono tali da interferire con le attività quotidiane.

Il deficit cognitivo del paziente può essere identificato attraverso una serie di semplici prove:

  • orientamento spazio-temporale: si chiede al paziente il luogo in cuisi trova e la data;
  • memoria: si fanno ripetere al malato tre parole, richiedendogliele dopo qualche minuto o dopo avergli fatto svolgere alcuni semplici calcoli;
  • linguaggio: si fanno leggere e scrivere alcuni brani al paziente, chiedendogli di denominare oggetti di uso comune e verificando la comprensione di semplici ordini;
  • prassia costruttiva: gli si chiede di copiare un semplice disegno, o di disegnare un cubo o un’altra immagine tridimensionale.

Tali prove possono essere facilmente proposte con il Mini Mental State Examination (MMSE), che rappresenta il primo e più semplice strumento di indagine per raccogliere informazioni sulle abilità cognitive del soggetto esaminato. Ovviamente, si deve tenere presente la necessità di correggere il punteggio in base all’età e alla scolarità del soggetto.

Se i risultati confermano la presenza di un deterioramento mentale, allora occorre passare ad una diagnosi differenziale.

Nella formulazione di diagnosi di Malattia di Alzheimer è necessario escludere innanzitutto altre condizioni patologiche che colpiscono il sistema nervoso centrale (SNC) e possono mimare una sindrome demenziale. Ciò è possibile attraverso:

  • l’esame diretto del malato (esame obiettivo generale e neurologico);
  • le indagini diagnostiche cliniche e strumentali: si tratta di tutti gli studi di visualizzazione che possono essere di aiuto nella diagnostica differenziale clinica quali radiogrammi (es: Rx del torace; Rx dell’apparato digerente), TAC (tomografia assiale computerizzata), RMN (risonanza magnetica nucleare), scintigrafia, PET (tomografia ad emissione di positroni), SPECT (tomografia ad emissione di singoli fotoni). Per quanto riguarda la demenza, gli studi di visualizzazione cerebrale (TAC e RMN) possono rivelare la presenza di atrofia cerebrale, lesioni focali, idrocefalo o lesioni ischemiche; gli studi di visualizzazione funzionale (PET, SPECT) possono fornire utili informazioni di diagnostica differenziale in soggetti senza segni evidenti di modificazioni strutturali all’esame TC o RMN;
  • la valutazione neuropsicologica per la tipizzazione dei deficit cognitivi.

Tutti questi dati devono comunque trovare una corrrispondenza nei criteri diagnostici frequentemente utilizzati (NINCDS-ADRDA – National Institute of Neurological and Communicative Disorder’s and Stroke – Alzheimer’s Disease and Related Disorders Association) che consentono di definire un quadro di AD possibile o probabile.

La diagnosi certa può essere fatta soltanto dopo l’analisi dell’esame autoptico, attraverso il quale si studiano le alterazioni anatomopatologiche presenti nel cervello del soggetto deceduto.

 

 

  1. LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE

 

Ogni volta che due o più malattie hanno sintomi in comune si rende necessario ricorrere alla diagnosi differenziale: nel caso delle demenze, la presentazione clinica e il decorso sono sempre gli stessi, ma oggi grazie a vari metodi di indagine (neuropsicologica, strumentale, funzionale, ecc…) siamo in grado di distinguere i diversi quadri sindromici e di tipizzare i sintomi.

La Malattia di Alzheimer è stata originariamente descritta come un quadro clinico caratterizzato da un esordio precoce (meno di 65 anni) e dalla presenza di una sindrome afaso-aprasso-agnosica. La rilevanza diagnostica di questi due aspetti si è tuttavia progressivamente ridotta, da un lato perché le sempre maggiori acquisizioni in campo anatomo-patologico hanno mostrato che la forma presenile e quella senile potevano essere considerate in modo sostanzialmente unitario, dall’altro perché la diagnosi sempre più precoce dei casi ha consentito di osservare pazienti che ancora non avevano sviluppato l’intera triade sindromica (afasia, aprassia, agnosia) proponendo così quadri clinici alternativi.

La recente messa a punto di criteri diagnostici internazionalmente accettati, quali l’ICD-10, il DSM-IV, e in particolare di quelli formulati dal Work Group on Dementia (NINCDS-ADRDA) ha consentito il raggiungimento di elevati livelli di precisione nella diagnosi clinica della Malattia di Alzheimer, sia rispetto alle altre forme di demenza, sia rispetto alla diagnosi istopatologica, che rimane l’unica certa.

L’incremento di accuratezza diagnostica è stato possibile grazie a:

  • una precisa definizione sindromica (DSM-IV)
  • l’identificazione precoce dei sintomi di esordio
  • la possibilità di collegare le osservazioni cliniche a criteri diagnostici standardizzati (NINSDS-ADRDA)
  • la tipizzazione dei deficit neuropsicologici

Quanto più le indagini sono precoci, accurate e complete, tanto più rigorosa sarà la diagnosi differenziale tra i diversi tipi di demenza, considerando che nelle fasi più avanzate il quadro clinico è pressoché sovrapponibile in tutte le forme di deterioramento mentale.

Procedure per l’identificazione del tipo di deterioramento mentale:

– quando sospettiamo una demenza, soprattutto nei soggetti anziani, il primo interrogativo da porsi è se si tratta di una forma di invecchiamento cerebrale fisiologico o patologico. Nel primo caso i disturbi di memoria lamentati dall’individuo sono quelli diffusi normalmente nella popolazione anziana, e non interferiscono con le attività quotidiane; diversamente, nel caso di patologie, il soggetto incontra difficoltà sempre crescenti nello svolgere qualunque tipo di attività;

– se le informazioni raccolte indicano un iniziale deterioramento cognitivo, dobbiamo poter distinguere le forme potenzialmente reversibili dalle altre. Nel caso delle forme focali, ci limiteremo a seguire l’andamento del deficit nel tempo (follow-up);

– se gli esami indicano la presenza di un deficit progressivo della memoria a breve termine, dell’orientamento e del linguaggio, in assenza di altri disturbi, è verosimile orientarsi verso una forma di AD;

– se, oltre ai deficit della memoria, sono presenti allucinazioni, disturbi del linguaggio e sindrome extrapiramidale, è possibile che si tratti di una demenza a corpi di Lewy, o di un’associazione AD+Parkinson;

– se l’esordio è caratterizzato da cambiamenti di carattere e della personalità, e successivamente sono comparsi deficit della memoria e del linguaggio, allora è possibile sospettare anche una demenza di tipo frontale;

– se nella storia del soggetto sono presenti chiari fattori di rischio vascolare (diabete, ipertensione, cardiopatie) e l’esordio dei sintomi non è chiaro, possiamo ipotizzare o una demenza vascolare o una forma mista (AD+VD);

  • se il paziente è confuso e agitato, è consigliabile una diagnosi differenziale per risalire all’origine della confusione mentale (tabella 1).

 

Tabella 1

Caratteristiche Stato confusionale acuto Demenza
esordio improvviso subdolo
durata giorni o settimane mesi o anni
grado di deterioramento mentale fluttuante, con intervalli lucidi costante, con rari intervalli lucidi di breve durata
memoria deficit a breve termine compromessa a breve e lungo termine
personalità integra disgregata
disorientamento con confabulazione con povertà di ideazione
allucinazioni floride con povertà di ideazione
idee deliranti a carattere persecutorio rare
emozioni forte terrore, perplessità assenti (disinteresse, apatia)

 

  • se il paziente è depresso e presenta anche deficit cognitivi importanti, è necessario distinguere tra demenza con depressione e depressione con disturbi cognitivi (tabella 2).

 

Tabella 2

Caratteristiche Depressione Demenza
esordio improvviso e ben databile subdolo
progressione rapida lenta
anamnesi psichiatrica positiva negativa
storia di malattia breve lunga
deficit funzionali sopravalutazione minimizzazione
umore fluttuazioni giornaliere fluttuazioni diverse da giorno a giorno
coscienza della gravità della malattia nei familiari diffusa rara

 

Condizioni generali che possono far sospettare un quadro di demenza:

  • età superiore a 40 anni
  • nessuna grave lesione del Sistema Nervoso Centrale rilevabile attraverso l’anamnesi
  • progressivi deficit di memoria e/o di altre funzioni cognitive e/o modificazioni del comportamento da almeno 6 mesi

Se sussistono queste condizioni, allora si passa ad una serie di indagini eseguite in progressione, volte ad escludere altre patologie.

 

ESAMI

I livello di esami

Comprende anamnesi ed esame obiettivo. L’esame obiettivo generale e neurologico permette di riscontrare eventuali segni indicativi di una compromissione del sistema nervoso corticale e/o sottocorticale, tali da

giustificare ipotesi alternative. Questi esami consentono di escludere:

  • smemoratezza (AAMI, o Benign forgetfullness)
  • depressione
  • morbo di Parkinson
  • corea di Huntington
  • paralisi sopranucleare progressiva
  • demenza da dialisi
  • demenza alcoolica, da farmaci, da tossici
  • demenza pugilistica, post-traumatica

II livello di esami

Si consiglia di effettuare una serie di esami ematici, delle urine, del liquor per escludere:

  • forme secondarie ad endocrinopatie o stati carenziali
  • forme secondarie a malattie metaboliche
  • meningoencefalite
  • Lupus Eritematoso Sistemico, vasculiti
  • Sclerosi Multipla

III livelli di esami

Questo gruppo di esami comprende: elettrocardiogramma, elettroencefalogramma, tomografia assiale computerizzata del cranio, risonanza magnetica dell’encefalo. Questi esami servono per escludere:

  • demenza vascolare
  • idrocefalo normoteso
  • tumori cerebrali
  • ematoma subdurale
  • malattie infiammatorie del Sistema Nervoso Centrale

Se a tutti i livelli vengono escluse le altre patologie sospettate nella diagnosi differenziale e la storia clinica suggerisce una forma di demenza, è verosimile che si tratti di Malattia di Alzheimer.

 

ANAMNESI

È l’anamnesi a svelare i sintomi di esordio e il loro periodo di insorgenza. All’inizio della malattia il soggetto può mostrare una certa difficoltà a rispettare gli appuntamenti o a ricordare nomi di amici e parenti, spesso accompagnata da manifestazioni di ansia e depressione.

Questi stati d’animo possono accentuarsi in condizioni di stress dovute a cambiamenti e novità in ambito professionale (per esempio l’introduzione del computer e di nuove tecnologie), e nei casi in cui è maggiore la consapevolezza delle proprie difficoltà.

Tuttavia vi sono pazienti che nelle stesse condizioni tendono a minimizzare i propri disturbi, utilizzando delle strategie di copertura, quali una progressiva riduzione degli impegni lavorativi e sociali.

Talora il sintomo d’esordio può essere rappresentato anche dalla difficoltà nel trovare la strada in zone meno familiari.

Nei casi precoci e paucisintomatici il problema diagnostico fondamentale è quello di riuscire a distinguere l’AD dall’invecchiamento fisiologico, il declino della funzione mnesica con le perdite di memoria proprie dell’età. Da qui la necessità di definire il limite tra invecchiamento normale e patologia, attraverso l’uso di procedure standard di valutazione delle funzioni cognitive, che tengano conto del ruolo di variabili quali l’età, la scolarità ed il sesso, e consentano di seguire i pazienti nel tempo per valutare l’evoluzione del deficit.

Inizialmente è utile eseguire una valutazione neuropsicologica per confermare l’eventuale presenza di un disorientamento temporale, di imprecisioni nel ricordare eventi recenti e di errori nella copia di disegni tridimensionali.

Dopo aver eseguito l’esame obiettivo, la procedura diagnostica prevede l’esecuzione di una serie di indagini di laboratorio e strumentali volte soprattutto all’identificazione di demenze secondarie, alcune delle quali potenzialmente reversibili. La valutazione laboratoristica di routine generalmente adottata si basa sull’esame completo del sangue, comprensivo della valutazione della funzionalità tiroidea, del dosaggio della vitamina B12 e dell’acido folico, nonché della sierologia per la lue. Indagini più specifiche devono essere prese in considerazione dallo specialista per i casi particolari.

 

INDAGINI DI ROUTINE

  • MMSE, IMCT
  • esami ematici ed esami urine
  • sierodiagnosi per la lue
  • dosaggio vitamina B12 e acido folico
  • funzionalità tiroidea
  • RX-torace
  • elettrocardiogramma
  • elettroencefalogramma
  • tomografia assiale computerizzata-cranio o risonanza magnetica-encefalo
  • Indagini specifiche
  • valutazione neuropsicologica estesa
  • HIV
  • screening per malattie metaboliche (che interessano cioè il metabolismo, come la malattia di Wilson, le malattie mitocondriali, ecc…)
  • esame del liquor (nel sospetto di malattia infiammatoria o vasculite)
  • potenziali evento correlati
  • doppler cw (continuos waves, cioè a onde continue) transcranico (diagnosi differenziale con forme vascolari)
  • risonanza magnetica-encefalo con studio dei flussi (sospetto idrocefalo normoteso)
  • SPECT/PET

L’esecuzione di una TC-cranio o di una RMN-encefalo può facilitare l’orientamento diagnostico, permettendo di escludere lesioni cerebrali strutturali (quali tumori, ematomi subdurali, idrocefalo o lesioni vascolari cerebrali), nonché evidenziare la presenza di alterazioni della sostanza bianca attribuibili a patologia vascolare o demielinizzante.

La SPECT e la PET sono le due metodiche di indagine funzionale che permettono di misurare i processi biochimici cerebrali. Sono particolarmente utili per lo studio di tutte le forme di demenza in fase iniziale e per la diagnosi differenziale tra la demenza di Alzheimer e i quadri di deterioramento cognitivo focale.

Nonostante l’eterogeneità dei quadri clinici che si possono documentare, oggi sono sempre più diffusi criteri specifici per la diagnosi di AD, quali:

la tipizzazione dei deficit neuropsicologici iniziali

l’atrofia temporo-mesiale

la riduzione del flusso e/o metabolismo cerebrale in sede temporo-parietale

Analogamente atrofia o aree focali di ipometabolismo o ipoperfusione possono orientare la diagnosi per forme focali più rare (demenza frontale, PPA, demenza semantica).

Se nel complesso tale modalità di approccio ha enormemente semplificato la diagnosi differenziale tra AD e demenze secondarie e vascolari, ha comunque lasciato irrisolte alcune problematiche. La procedura diagnostica descritta, pur individuando correttamente la maggior parte delle demenze degenerative nel loro complesso, non consente di identificare forme non-AD (per es. demenza semantica, PPA, Malattia a corpi del Lewy, ecc….).

L’individuazione di queste forme richiede valutazioni clinico-neuropsicologiche e indagini strumentali particolari. La diagnosi definitiva rimane quella istopatologica.