La Prevenzione, questa grande sconosciuta

E’ risaputo che prevenire è meglio che curare. Tuttavia questo concetto rimane spesso tale, visto che concretamente non è ancora ben chiaro cosa significhi  prevenzione, visto il dilagare delle cure.

Cosa significa “prevenzione”?

“La prevenzione è l’insieme di azioni finalizzate ad impedire o ridurre il verificarsi di eventi non desiderati. Gli interventi di prevenzione sono in genere rivolti all’eliminazione o, nel caso non la stessa non sia concretamente attuabile, alla riduzione dei rischi che possono generare dei danni”.

Nell’ambito della salute si indica come prevenzione qualunque attività che riduca la mortalità o la morbilità dovute ad una certa patologia.

Esistono tre livelli di prevenzione, che agiscono in momenti diversi:

prevenzione primaria: comportamenti che cercano d’evitare/ridurre l’insorgenza/sviluppo di una patologia. La maggior parte delle attività di promozione della salute verso la popolazione sono misure di prevenzione primaria, in quanto riducono i fattori di rischio che potrebbero aumentare l’insorgenza di quella patoogia.

prevenzione secondaria: punta alla diagnosi precoce di una patologia nascente, permettendo così di intervenire sulla stessa precocemente e aumentando le opportunità d’intervento per prevenirne la progressione e ridurre gli effetti negativi.

prevenzione terziaria: riduce l’impatto negativo di una patologia avviata, ripristinando le funzioni, riducendo le complicazioni e le probabilità di recidive.

(Fonte: Wikipedia)

Se applichiamo la prevenzione all’invecchiamento possiamo ottenere i seguenti benefici:

mantenere più a lungo durante gli anni le capacità fisiche (forza, resistenza, abilità…)

mantenere e potenziare le funzioni cognitive (memoria, linguaggio, attenzione…)

E’ infatti solamente un luogo comune il definire la vecchiaia come l’età della perdita. Il Prof. Cesa Bianchi  sottolinea il ruolo della creatività nel mantenimento  – non solo delle funzioni cognitive – ma di un benessere globale inteso come miglioramento di salute, aspetti  sociali  e culturali.

Petter asserisce che vi è una omogeneizzazione eccessiva  della vecchiaia, che trascura le diversità ambientali, culturali e personali degli individui.

Chattat parla di prospettiva temporale, cioè del rapporto tra passato, presente e futuro: è necessario dare significato al tempo passato e raggiungere la capacità di elaborazione delle emozioni per raggiungere obiettivi emotivamente significativi nel QUI ed ORA, poiché la perpetuazione del passato significa rifiuto del presente.

La prevenzione primaria che intende limitare i possibili danni che s’incontrano nel progredire dell’invecchiamento, pone l’accento su quella che un tempo veniva definita “età di mezzo” e che corrisponde ora all’adulto tra i 45 e i 65 anni.

In questo ventennio succedono molti “fatti di vita” e alcuni di questi possono sfociare in crisi. Infatti nella cosiddetta età di mezzo, o dell’adulto maturo, o della pre-anzianità, in genere è necessario affrontare grandi cambiamenti personali, relazionali e sociali:

i figli se ne vanno di casa per costruire altrove una loro famiglia;

si deve affrontare la malattia dei vecchi genitori e/la loro perdita;

i disturbi correlati all’insorgere della menopausa per la donna e dell’andropausa per l’uomo;

il disagio legato al pensionamento, che comporta un cambiamento radicale per la persona del proprio ruolo ma che si ripercuote anche sulle nuove dinamiche familiari che si vanno ad instaurare.

E’ importante affrontare correttamente i momenti di “crisi“: lo si può fare approfondendo le proprie conoscenze personali, condividendo con altre persone le proprie esperienze e chiedendo aiuto a persone competenti quando è necessario.

La persona competente è in questo caso lo psicogerontologo (o psicologo dell’invecchiamento) che – nello specifico –  si occupa di interventi di sostegno psicologico individuale o di gruppo, rivolto a persone adulte e anziane, per imparare ad invecchiare bene e per la riabilitazione di abilità cognitive, emotive e relazionali;

Questo serve ad evitare che la persona affronti negativamente la propria situazione e che questo stato raggiunga livelli patologici (depressione, panico, pensiero di suicidio, etc)