Depressione post-partum

La nascita di un figlio rappresenta un evento molto importante nella vita di una donna, tanto che diventare madre è considerato un marker event, cioè una tappa nello sviluppo della personalità adulta. Erikson ritiene che la nascita di un figlio costituisca una delle crisi evolutive più importanti che si verificano nell’età adulta.

Spesso il periodo della gravidanza risulta trascorrere in maniera relativamente tranquilla, finché si giunge al capolinea e quindi al delicato e doloroso momento del travaglio. Nel periodo immediatamente successivo al parto, lo scenario cambia.

Negli ultimi anni vi è stato un incremento dei disturbi depressivi dopo il parto, in particolar modo dopo la nascita del primo figlio: ne hanno sofferto dal 3% al 70% delle donne adulte. Il dato più sconcertante è che la maggioranza delle donne con depressione non viene individuata.

Durante il periodo post-partum, per un’efficace prevenzione secondaria, le puerpere dovrebbero poter usufruire di uno specifico servizio di cure secondarie di tipo psicologico o psicoterapeutico.

Ferraro e Nunziante Cesaro considerano l’esperienza della maternità (gravidanza, nascita e accudimento del bambino) un lavoro psichico che si conclude con l’acquisizione di un nuovo equilibro maturativo per l’identità femminile oppure può presentare difficoltà ed evolvere verso l’esordio del disturbo depressivo.

Pines sottolinea come un’identificazione positiva con la propria madre permetta alla donna, attraverso una temporanea regressione legata alla gravidanza, di identificarsi con un genitore capace di dare la vita e nello stesso tempo di ricordarsi del sé bambina: ed è così che è possibile  secondo Pines  realizzare una maturazione completa della personalità.

Tuttavia, il grande incontro col bambino conduce ad un inevitabile divario tra quello che è stato per nove mesi il bambino idealizzato e l’immagine vera del bambino reale.

Come dice Ammaniti: Nei primi giorni di vita del piccolo, il mondo emotivo della madre ha un improvviso viraggio: la donna si sente prostrata da un insieme di responsabilità riguardanti l’accudimento del figlio  come ad esempio il bagnetto, il cambio del pannolino e l’allattamento  che l’investiranno dopo il ritorno a casa. E poiché familiari ed amici danno per scontato che la nascita di un figlio sia un evento che porta solo gioia, la madre cerca di dissimulare queste preoccupazioni, anche se sente crescere dentro di sé un’inspiegabile sfiducia per il futuro.

E’ quella che viene definita maternity blues (o baby blues).

La maternity blues è associata generalmente alle modificazioni ormonali indotte nel post-partum e tende ad esaurirsi nelle prime due settimane di vita del bambino, con un progressivo miglioramento del tono dell’umore materno (Ammaniti).

Secondo Winnicott, comunque, nei primi tre mesi di vita del bambino è sempre presente un’ansia della madre legata alla salute del bambino e alle proprie capacità di fronteggiare il ruolo genitoriale: è la preoccupazione materna primaria.

Il periodo perinatale implica uno stato mentale alterato e l’aspetto fisico del neonato e il suo temperamento incidono profondamente sulle preoccupazioni e sulle modalità di accudimento delle madri. Vi è poi anche un’accentuata sensibilità a stimoli ambientali ed emotivi.

Secondo alcuni studi, nelle prime due settimane dopo il parto, i genitori hanno pensieri insistenti sul figlio (circa 14 ore al giorno le madri e 7 i padri) e circa il 95% delle madri ( e l’80% dei padri) presenta preoccupazioni circa la salute del bambino.

Risulta anche che durante la gravidanza il 37% dei genitori riporta pensieri insistenti di far del male al proprio figlio e dopo la nascita questo riguarda quasi tutti i genitori e il 30% riferisce di avere pensieri ricorrenti di colpire il bambino. Questi pensieri causano un notevole distress emotivo, ma generalmente sono destinati a scomparire durante i primi mesi di vita del bambino, anche se possono in alcuni casi favorire l’insorgere di disturbi depressivi e di psicosi.

I QUADRI CLINICI DELLA DEPRESSIONE POST-PARTUM.

La depressione post-partum rientra all’interno dei diversi quadri clinici che a loro volta riguardano differenti forme e livelli di gravità. Il termine depressione postnatale è spesso utilizzata in modo improprio per descrivere una gamma di sintomi che vanno dalla facilità al pianto e dalla labilità emotiva alla perdita di contatto con la realtà, tipica delle psicosi puerperali. E’ quindi molto importante chiarire un quadro di riferimento condiviso per i vari disturbi.

  • Maternity Blues: è un lieve disturbo emozionale transitorio che colpisce più del 50% delle donne occidentali nei giorni immediatamente successivi al parto (era chiamata anche sindrome del terzo giorno). I bluessono caratterizzati da crisi di pianto, ipersensibilità e oscillazioni del tono dell’umore che si accentuano intorno al quinto giorno dopo il parto e possono durare da alcune ore ad alcuni giorni (Horowitz).

Cimino individua sette sintomi principali:

1- tendenza al pianto (manifestazione centrale)

2- stanchezza

3- ansia

4- ipersensibilità

5- labilità dell’umore

6- tristezza

7- confusione mentale (intensa come scarsa concentrazione e difficoltà di pensiero concettuale)

Normalmente lo stato emotivo della maternity blues tende a scomparire in poche settimane. Tuttavia alcune madri hanno bisogno di maggior tempo per rielaborare l’esperienza vissuta con la nascita del bambino e per incontrarlo nella realtà (Ferraro e Nunziante Cesaro) e quindi possono presentare un quadro clinico particolarmente accentuato e duraturo di maternity blues, caratterizzato da crisi di pianto, irritabilità e disturbi somatici, come insonnia, cefalee e anoressia (Guedeney).

Nella maternity blues sono implicate determinanti psicologiche, sociali e biochimiche. Studi scientifici evidenziano una prevalenza tra il 50% e l’80% della maternity blues, con remissione spontanea dopo circa un mese.

  • Depressione post-partum. I sintomi sono: sentimenti d’inadeguatezza, d’incompetenza e di disperazione, collera, ipersensibilità, ansia, vergogna, odio e trascuratezza verso se stesse e verso il bambino, disturbi del sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale e pensieri suicidari. In casi estremi anche pensieri infanticidi (Cimino). Sono 4 i fattori di vulnerabilità:

1- perdita della madre prima degli 11 anni

2- mancanza di una relazione intima coniugale

3- mancanza di un lavoro retribuito

4- tre o più figli sotto i 14 anni

Questi sono fattori che possono predisporre una donna alla depressione post-partum; c’è da considerare che in ogni caso i fattori eziopatogenetici possono essere i più vari: biomedico, psicologico, relazionale ed interagenti tra loro.

Sicuramente la depressione post-partum influisce sulla relazione tra madre e bambino: in genere la madre, pur essendo presente fisicamente, non lo è emozionalmente. La qualità dell’interazione diadica negli stati di depressione produce infatti una generale limitazione dell’espressione dell’affettività, per esempio con la tendenza ad evitare il contatto fisico e visivo con il neonato e nell’incapacità di inserirsi nelle vocalizzazioni dei figli, oltre che in difficoltà rilevanti nell’interpretare correttamente i segnali che inviano i bambini. La depressione post-partum ha un’incidenza tra il 3% e il 15% delle donne.

  • Psicosi puerperale. In alcune donne con personalità di tipo borderline, il parto può creare una profonda frattura tra madre e bambino, poiché la genitrice non è in grado di ricostruire una nuova unità in cui compenetrare e fondere aspetti corporei ed aspetti psicologici.

Vi sono varie forme di psicosi puerperale. Soifer descrive una forma grave in cui la donna vive in uno stato ritirato, è triste, rifiuta totalmente il suo bambino, è apatica, trasandata, presenta insonna e inappetenza. Spesso riferisce allucinazioni uditive e idee deliranti di tipo paranoide (es. che qualcuno la voglia derubare o uccidere). Questo stato può avere una remissione spontanea dopo giorni, mesi o anni, però presenta un alto rischio di tentativi di suicidio o di attacchi diretti al bambino, pertanto non va sottovalutata.

Alcuni autori hanno evidenziato una psicosi puerperale di tipo maniacale con presenza di tono dell’umore eccessivamente elevato, con presenza di irritabilità e di iperattività e pur tuttavia con la madre che non si occupa del bambino, ma lo lascia alle cure dei familiari, che tende quindi a delegare ad altri i propri compiti di caregiving. In questo caso i rischi maggiori sono relativi al futuro del bambino, poiché si ha una madre il cui ruolo materno è incompleto e parziale. Le psicosi puerperali presentano un tasso di frequenza tra lo 0,3% e il 2% della popolazione di donne adulte (secondo American Psychiatric Association).

Da quanto emerso risulta evidente che i disturbi dell’umore nel periodo del puerperio richiedono una valutazione clinica anche se la sofferenza appare in forma lieve o media, sia per quanto riguarda la salute della donna, sia in quanto il rischio di compromissione della qualità dell’accudimento può costituire un fattore di rischio rilevante per lo sviluppo affettivo e cognitivo del bambino.

E’ necessaria inoltre una formazione specifica per tutti gli operatori sanitari affinché si possa promuovere, nel periodo successivo al parto, il benessere psicologico delle donne.